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Articolo su
JOHN SEARLE


John Searle e la questione del libero arbitrio
di Astro Calisi

Premessa
La coscienza, almeno nella sua espressione attiva, che viene comunemente chiamata volontà, presuppone una relativa autonomia rispetto agli ordinari fenomeni fisici, regolati da leggi di carattere universale e necessario. D'altra parte, da un punto di vista rigorosamente scientifico, qualsiasi manifestazione della mente (quindi anche la volontà e il libero arbitrio) non può che essere il prodotto dell'attività cerebrale che, per quanto complessa e organizzata, non può comunque collocarsi al di fuori delle suddette leggi, risultando quindi inevitabilmente deterministica.
Il tentativo di conciliare la volontà umana, almeno nel senso in cui questa viene tradizionalmente intesa, con il metodo scientifico, si presenta quindi come un percorso senza sbocchi. Cogliendo questa impossibilità nelle sue drammatiche implicazioni, molti autori, tra i quali Marvin Minsky e Paul Churchland, scienziati che operano nel campo dell'intelligenza artificiale, e il neuroscienziato Vilayanur Ramachandran, pur all'interno di prospettive differenti, sono arrivati alla conclusione che la volontà non esiste e che essa costituisce soltanto un'illusione coltivata dagli uomini per dare significato alla propria esistenza.
Sul fronte avverso troviamo i cosiddetti "compatibilisti", per i quali, invece, l'esistenza di una volontà autonoma non si troverebbe affatto in conflitto con la visione scientifica del mondo. Andando però ad analizzare le argomentazione con cui gli autori riconducibili a tale prospettiva cercano di sostenere le loro posizioni, ci imbattiamo immancabilmente in una serie di assunzioni ausiliarie e/o di distinzioni cavillose, introdotte qua e là nella trattazione, che finiscono per spostare l'asse del discorso lungo direttive alquanto diverse rispetto a quelle di partenza.
Cosa significa tutto questo?
Significa che il problema della conciliazione tra volontà e metodo scientifico può essere superato soltanto a prezzo di modificare profondamente i termini di detto problema, tanto da trasformarlo in qualcos'altro. 1
Tra gli scritti sul tema del libero arbitrio pubblicati recentemente in Italia, una particolare menzione merita il saggio del filosofo John Searle, "Libero arbitrio e neurobiologia" 2, che, per la sua oscurità e intrinseca contraddittorietà, risulta paradigmatico della impossibilità di rimanere del tutto fedeli alla logica e alla chiarezza espositiva quando si tenta di mettere d'accordo tesi per loro natura incompatibili.

La posizione di John Searle
E' estremamente arduo ricostruire puntualmente le argomentazioni di Searle, dal momento che egli non sembra seguire un ordine rigoroso nella trattazione, muovendosi piuttosto in maniera episodica, con largo utilizzo di digressioni, esempi e analogie, ritornando più volte sulle questioni trattate, non per presentare nuovi elementi alla riflessione, bensì soltanto per riaffermare quasi dogmaticamente alcuni concetti che sono alla base della sua prospettiva filosofica.
In effetti, leggendo le pagine - quasi 60 - che compongono il suo lungo saggio, non si può che rimanere colpiti dal procedere assai poco lineare, che fa pensare sia all'assenza di uno schema espositivo predefinito, che a un'idea abbastanza approssimativa circa la conclusione verso cui tendere.
Per rendersi conto della perentorietà di certe affermazioni di Searle, in quanto non sostenute da argomentazioni convincenti, e della intrinseca contraddittorietà di certe tesi da lui sostenute, bisognerebbe esaminare minuziosamente l'intero saggio, commentandolo passo passo. Ma risulterebbe un'impresa molto laboriosa e richiederebbe lo spazio di un grosso volume. Mi limiterò quindi a prendere in considerazione soltanto due temi strettamente connessi tra loro, estraendoli il più fedelmente possibile dalla trattazione di Searle: il rapporto mente-corpo e la relazione tra cervello, sé e libertà.

1. Soluzione data al problema mente-corpo
Secondo Searle il tradizionale problema mente-corpo può essere facilmente superato se si assume che «tutti i nostri stati coscienti sono caratteristiche superiori o sistemiche del cervello, essendo causati, nello stesso tempo, da microprocessi inferiori che si producono nel cervello. Al livello del sistema abbiamo la coscienza, l'intenzionalità, le decisioni e le intenzioni. Al microlivello abbiamo i neuroni, le sinapsi e i neurotrasmettitori. Il comportamento dei microelementi, che compongono il sistema determina le caratteristiche del sistema». 3
La soluzione prospettata da Searle non sembra aggiungere nulla di nuovo ai diversi tentativi, realizzati fino ad oggi, di spiegare il sorgere della coscienza facendo ricorso alla nozione di "proprietà emergente". Egli non usa mai questa terminologia, preferendo parlare di "caratteristiche superiori" e di "microprocessi inferiori", ma il concetto di fondo è sostanzialmente lo stesso. In base ad esso, a elevati livelli di complessità, quali appunto quelli che contraddistinguono le strutture nervose del cervello, avrebbero origine nuove caratteristiche e proprietà, non spiegabili e non prevedibili facendo riferimento alle caratteristiche e alle proprietà rilevabili ai livelli di organizzazione inferiori. Biologi e neuroscienziati fanno largo uso di questa nozione, senza rendersi conto che essa non è in grado di spiegare alcunché: è soltanto un concetto ad hoc, un contenitore completamente vuoto, richiamandosi al quale molti ritengono di aver compiuto passi importanti sulla strada della comprensione dei fenomeni viventi e di quelli, del tutto peculiari, che riguardano la mente.
Dunque, per Searle, coerentemente con la propria dichiarata posizione naturalistica, la coscienza sarebbe una mera espressione dell'attività cerebrale. Tuttavia, affinché sia possibile un libero arbitrio, bisogna presupporre una capacità di intervento nelle scelte e nella attività poste in atto dall'individuo: c'è bisogno di riconoscere alla coscienza un potere causale sugli oggetti del mondo fisico. D'altra parte, lo stesso Searle nega che la coscienza sia «qualcosa che viene ad aggiungersi, qualcosa che interviene "sopra e al di sopra" del comportamento neuronale» 4. Quindi, non rimane che considerarla una caratteristica intrinseca del cervello. Searle, a questo proposito, propone l'esempio della ruota che rotola giù per un pendio: la ruota è interamente costituita da molecole, le quali sono unite le une alle altre da forze di natura fisica. La proprietà della solidità condiziona comunque il comportamento delle singole molecole: «Quando affermiamo che la solidità interviene causalmente nel comportamento della ruota e nel comportamento delle singole molecole che compongono la ruota - osserva Searle - non stiamo dicendo che la solidità è qualcosa che si aggiunge alle molecole, ma che essa è piuttosto una condizione nella quale le molecole si trovano. Ciò non toglie che la solidità è proprio una caratteristica reale e che essa ha effetti causali». 5
Secondo Searle, tale analogia può essere estesa alla relazione che lega la coscienza al cervello: «Allo stesso modo in cui il comportamento delle molecole è causalmente costitutivo della solidità, il comportamento dei neuroni è causalmente costitutivo della coscienza [...]. La coscienza è una caratteristica del cervello allo stesso titolo in cui la solidità è una caratteristica della ruota». 6
Searle riconosce che l'analogia proposta non è esente da difficoltà. In particolare, egli osserva che:
a) La ruota è interamente determinata nei suoi movimenti, mentre bisogna presupporre che il comportamento dei neuroni cerebrali, nel momento di assumere una decisione volontaria, non sia determinista. 7
b) La solidità della ruota è ontologicamente riducibile al comportamento delle molecole e non soltanto causalmente riducibile; la coscienza; anche supponendo che essa sia causalmente riducibile al comportamento dei microelementi, non può essere oggetto di un'analoga riduzione. L'ontologia in prima persona della coscienza non è infatti riducibile a un'ontologia in terza persona. 8
Riguardo al punto a), ci si potrebbe chiedere come sia possibile che "il comportamento dei neuroni cerebrali, nel momento di assumere una decisione volontaria, non sia determinista". Poiché il nocciolo del problema del libero arbitrio sta esattamente in questo: conciliare l'autonomia di scelta e di decisione che dovrebbe contrassegnare una volontà autenticamente autonoma col fondamentale determinismo dei fenomeni fisici. Se si presuppone tale problema risolto (o risolvibile) in una qualche maniera (che non viene precisata), anche l'incompatibilità esistente tra libertà umana e ferrea necessità delle leggi scientifiche viene a cadere. Ma non è esattamente questo il modo in cui ci si aspetta che vengano risolti i problemi!
Riguardo al punto b), è appena il caso di sottolineare quanto sia artificiosa la distinzione tra "ontologicamente riducibile" e "causalmente riducibile" fatta valere da Searle per tener fede all'idea che la coscienza sia dotata di un'ontologia in prima persona (non riducibile a un'ontologia in terza persona). Anche qui, è proprio grazie a questa distinzione indebita - non si capisce come qualcosa che sia in grado di produrre effetti causali nel mondo fisico, possa nello stesso tempo avere un'esistenza al di fuori di tale mondo - che si giustifica il riconoscimento di un'autonomia della coscienza.
Se volessimo comunque limitarci ai soli problemi individuati da Searle, ci si aspetterebbe, se non l'abbandono dell'analogia in questione, almeno una certa circospezione nel suo utilizzo. Invece, poco più avanti, ignorando completamente ogni precedente osservazione in merito, Searle dichiara: «La coscienza non è altro che lo stato in cui si trova il sistema dei neuroni, alla stessa maniera in cui la solidità non è altro che lo stato in cui si trova il sistema delle molecole» 9. E qualche pagina oltre: «Sappiamo che le caratteristiche sistemiche sono causate e attuate da microprocessi; sappiamo anche che le caratteristiche causali dei fenomeni, intervenendo al livello del sistema, sono interamente spiegabili facendo riferimento ai comportamenti dei microfenomeni. Come non mi stanco di ripetere, le relazioni causali hanno la medesima struttura formale delle relazioni causali che esistono tra i movimenti delle molecole e la solidità». 10
Come si vede, l'apparente soluzione data al problema mente-corpo si basa su assunzioni e distinzioni del tutto ingiustificate e anzi profondamente problematiche, come quella dell'appartenenza degli stati coscienti al mondo dei fenomeni naturali pur avendo essi uno statuto ontologico in prima persona, o quella della capacità della coscienza di produrre effetti nel mondo fisico pur non "aggiungendo nulla" a ciò che fanno, per proprio conto, i processi nervosi del cervello.

2. L'autonomia umana, il sé e il cervello
Se ci basiamo sulla nostra esperienza ordinaria, l'idea che un'autentica libertà non possa andare disgiunta dall'esistenza di un sé, appare abbastanza plausibile. Soltanto postulando un sé relativamente autonomo (rispetto agli ordinari fenomeni fisici, deterministici), possiamo parlare di un libero arbitrio e quindi di una facoltà di scelta e di decisione. Searle mostra di essere in linea con la necessità di un tale riconoscimento quando scrive: «Per spiegare il nostro comportamento apparentemente libero dobbiamo postulare una nozione non riducibile del sé» 11. Ma egli deve anche render conto del suo dichiarato naturalismo, per il quale ogni espressione della sfera mentale non può non avere una precisa corrispondenza con ciò che si verifica a livello cerebrale. E' quindi costretto ad affermazioni come: «Il cervello causa e sostiene l'esistenza di un sé capace di prendere decisioni razionali e di tradurle in azioni». 12
Giungiamo così all'assurdo logico di avere, da una parte, un sé irriducibile ed, entro certi limiti, autonomo; dall'altra, un sé che è un mero prodotto dell'attività cerebrale.
In che modo Searle cerca di sanare questa contraddizione profonda che, anche se abilmente dissimulata tra una molteplicità di considerazioni accessorie, non può certo sperare di far passare inosservata?
Egli tenta un'impresa disperata, riducendo le possibilità d'intervento del sé allo spazio temporale che separa i vari segmenti in cui può essere idealmente suddivisa una qualsiasi decisione, sia nella fase di assunzione, che della sua successiva attuazione. A tal proposito, Searle osserva che generalmente le ragioni che conducono a una data decisione non appaiono causalmente sufficienti per imporre quella decisione; allo stesso modo, non sembra che la decisione stessa sia causalmente sufficiente per costringere a una determinata azione: «Nelle situazioni tipiche della deliberazione e dell'azione c'è, per dirla in breve, uno scarto (gap), o una serie di scarti, fra le diverse cause che intervengono nelle diverse tappe della deliberazione, della decisione, dell'azione e in occasione delle tappe successive. Se esaminiamo il problema più in dettaglio, possiamo constatare che lo scarto può essere diviso in più segmenti. Si osserva un primo scarto tra le ragioni che conducono a una decisione e l'assunzione di una decisione. Se ne osserva un altro fra la decisione e l'inizio dell'azione e fra tutte le azioni che seguiranno [...]. A ogni tappa facciamo esperienza di stati coscienti che non ci sembrano sufficienti per imporre il successivo stato cosciente». 13
L'azione del sé sarebbe dunque limitata ai brevi tratti che separano le diverse fasi di un'azione intrapresa deliberatamente. Si tratterebbe di un intervento proiettato su una situazione già provvista di un certo orientamento, ma causalmente insufficiente per dare luogo alla fase successiva. Il sé agirebbe sia per colmare questo scarto, permettendo alle potenzialità ancora inespresse di realizzarsi, sia per modificare, almeno parzialmente, la forma data alla loro attuazione.
Che sia precisamente questa la tesi sostenuta da Searle, ci viene confermato da un altro passo, in cui egli scrive: «Tutte le caratteristiche del sé cosciente, in qualunque momento, sono interamente determinate dallo stato, in questo istante, dei microelementi, dei neuroni, ecc. Le caratteristiche sistemiche sono interamente fissate dai microelementi, perché da un punto di vista causale non c'è nulla se non dei microelementi. Lo stato dei neuroni determina lo stato della coscienza. Tuttavia, ogni determinato stato dei neuroni / della coscienza non è causalmente sufficiente per provocare lo stato successivo. I processi razionali di pensiero propri dello stato iniziale dei neuroni / della coscienza spiegano il passaggio da uno stato all'altro. In ogni istante, lo stato totale della coscienza è fissato dal comportamento dei neuroni, ma, da un istante all'altro, lo stato totale del sistema non è causalmente sufficiente a determinare lo stato successivo». 14
Tuttavia, l'aver ridotto le possibilità d'intervento del sé solo a ristretti momenti dello sviluppo di una determinata decisione, pur dando l'impressione di aver attenuato o diluito il problema di fondo fino quasi a dissolverlo, in realtà lo lascia drammaticamente aperto. Come può un sé, interamente determinato, nelle sue manifestazioni, dall'attività dei neuroni cerebrali, agire sulla base di spinte, o ragioni, autonome, sia pur nei brevi intervalli ad esso concessi?
In questa opera di continua distrazione dell'attenzione del lettore dal problema principale, suddividendo lo stesso problema in questioni minori e disperdendole in mille rivoli, dove sembra quasi che esse trovino una soluzione, sta buona parte della sostanza delle argomentazioni di Searle: apparentemente inattaccabili, perché sottilmente ambigue e sfuggenti.
Vale però la pena sottolineare una volta di più che questi sono esiti inevitabili a cui va incontro qualsiasi studioso animato dalla necessità di salvaguardare il libero arbitrio, ma che, nello stesso tempo, non sia disponibile a rinunciare a una concezione di mente riconducibile senza residui alle ordinarie attività cerebrali.

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NOTE
(1) Per un'interessante sintesi del dibattito tra "compatibilisti" e "incompatibilisti", si veda Mario De Caro, La logica della libertà, Meltemi, Roma, 2002.
(2) John Searle, "Libero arbitrio e neurobiologia", in Id., Libertà e neurobiologia. Riflessioni sul libero arbitrio, il linguaggio e il potere politico, Mondadori, Milano, 2005, pagg. 3-60.
(3) Op. Cit., pagg. 32-3.
(4) Op. Cit., pagg. 20-1.
(5) Op. Cit., pag. 19.
(6) Op. Cit., pag. 20.
(7) Op. Cit., pag. 40.
(8) Ivi.
(9) Op. Cit., pag. 43.
(10) Op. Cit., pag. 56.
(11) Op. Cit., pag. 31. Cfr. anche alle pagg. 25, 28 e 30.
(12) Op. Cit., pag. 49.
(13) Op. Cit., pagg. 10-1.
(14) Op. Cit., pagg. 40-1.

[ Scheda dell'autore - Email: astrocalisi@gmail.com ]


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