Articolo su
DANIEL DENNETT


L'atteggiamento intenzionale di Daniel Clement Dennett
di Domenico Turco

Quello di intenzionalità è uno dei concetti-chiave della filosofia della mente e della scienza cognitiva. L'intenzionalità indica quel complesso di eventi psichici che intenzionano la mente nell'atto di pensare a un determinato oggetto. Il primo teorico dell'intenzionalità fu il filosofo austriaco Franz Brentano (Marienberg, 1838 - Zurigo 1917), il quale la considerava un fenomeno tipicamente umano. Brentano può essere annoverato tra gli "internisti" perché riteneva che i fatti psichici fossero irriducibili a eventi esteriori o a processi di tipo fisico-quantitativo, in una prospettiva di mediazione tra il pensiero medievale e la filosofia di Cartesio.
Rispetto ai tempi di Brentano il concetto di intenzionalità ha subito moltissime trasformazioni, a seguito soprattutto degli sviluppi novecenteschi che lo hanno arricchito di nuovi significati e valenze, collegando l'intenzionalità stessa all'analogia mente-computer, o, meglio, al rapporto tra intelligenza naturale umana e intelligenza artificiale. La questione non interessa solo la filosofia o le scienze empiriche, ma riguarda anche l'etologia. In particolare, ci s'interroga se il comportamento di un animale possa autorizzare o meno a ipotizzarne qualche forma di intenzionalità, e come questa colleghi all'intelligenza umana o artificiale. Uno dei fatti psichici fondamentali dell'intenzionalità è la credenza, intesa quale paradigma di ogni sistema intenzionale.
Il tema speculativo dell'intenzionalità è trattato in L'atteggiamento intenzionale di Daniel C. Dennett. Già il titolo del libro è indicativo di come Dennett veda l'intenzionalità, come un atteggiamento strategico dell'uomo di fronte alle situazioni più disparate che incontra nella vita quotidiana. Naturalmente, concepire l'intenzionalità come una strategia utilitaristica qualifica in parte Dennett come un esternista, nel senso che considera gli atti mentali come influenzati dall'esterno, dal confronto attivo con l'esperienza immediata del soggetto. Come tale, l'analisi della credenza rivela il debito di Dennett nei confronti dell'impostazione pragmatistica.
Nel II capitolo del libro Dennett si occupa dei veri credenti. I veri credenti sono i credenti nel vero, cioè tutti noi quando "crediamo di credere". La credenza viene analizzata in base a tre spiegazioni possibili: la prima è una varietà di realismo, paragona il problema di avere una particolare credenza al problema di essere contagiati da un virus. In effetti, per questa varietà di realismo la credenza è un fenomeno psicologico reale, e così ogni atto intenzionale. L'altro modo di intendere la credenza, invece, paragona il problema di avere una particolare credenza al problema di stabilire se una persona è immorale o ha stile oppure talento o se sarebbe una buona moglie. È, in sostanza, una concezione di tipo relativistico, che Dennett definisce interpretazionismo. La credenza è vista come un mezzo per stabilire parametri mentali, uno strumento per processare eventi mentalistici sottoponendoli al vaglio della nostra razionalità. Dennett va oltre le due spiegazioni, proponendone una terza che le riflette entrambe. Da un lato, infatti, ritiene che la credenza sia qualcosa di oggettivo, secondo la prospettiva "realista", ma l'oggettività degli atti di credenza non esclude altri tipi di approccio.
Per Dennett una comprensione oggettiva della credenza non può prescindere dalla prospettiva di chi sperimenta una qualche strategia predicativa, e quindi dall'interpretazione di sistemi intenzionali differenti (interpretazionismo). In altri termini, il relativismo del punto di vista dei veri credenti circa la credenza, non impedisce la presenza, oggettiva e realistica, di dati fattuali impliciti nella mente del soggetto. Intenzionalità, che Dennett preferisce chiamare "atteggiamento" o "strategia intenzionale", significa: studiare l'oggetto del quale vogliamo anticipare le "mosse", come se avessimo a che fare sempre con un essere dotato di razionalità e teso a comportarsi coerentemente ad essa, che include "credenze, desideri e altri stati mentali". Ogni sistema o oggetto intenzionale è un vero credente, nel senso di: credente nel vero. Scrive Dennett:

«Essere un vero credente significa essere un sistema intenzionale, un sistema il cui comportamento è suscettibile di ampia e attendibile previsione mediante la strategia intenzionale».

Successivamente Dennett descrive l'effettivo funzionamento di varie strategie previsionali, più o meno riconducibili alla sola strategia intenzionale. Una di queste strategie è la strategia fisica, messa in pratica nelle scienze empirico-concrete. La strategia fisica comporta un atteggiamento previsionale, che intende anticipare gli sviluppi di un qualche sistema, nel caso della strategia fisica ricostruendone la struttura di base, di tipo microfisico. È la strategia usata dal chimico o dal fisico, il quale risale agli elementi costitutivi di un determinato fenomeno al fine di prevederne il comportamento.
Un'altra strategia è la strategia progettuale, che prescinde dagli ingredienti reali della condizione fisica di un oggetto per concentrarsi sulla sua destinazione, dal momento "che si comporterà così com'è stato progettato che si comporti in diverse circostanze".
Secondo Dennett l'intenzionalità è una strategia come le altre, di tipo enunciativo o predicativo, che, pur avendo origine nell'evoluzione biologica, non viene assunta dalla mente dopo un lungo processo evolutivo, di passaggio tra lo stadio zoologico e quello umano, ma che è già presente al livello dell'animale. In altri termini, gli animali partecipano della strategia intenzionale esattamente come noi, conseguenza di ciò è che tra intelligenza umana e animale non c'è sostanzialmente differenza, se non di grado. Come attribuiamo alla rana che salta per catturare la mosca un atteggiamento intenzionale, volto ad esaudire un desiderio che per l'etologo è una semplice pulsione istintuale (risolvere il problema fisiologico della fame), così attribuiamo continuamente desideri e credenze all'oggetto che ci sta di fronte.
L'intenzionalità non è qualcosa di presente a livello psicologico, per Dennett, ma è il nome che viene dato ad un atteggiamento predicativo, non dissimile dalla strategia che usiamo per costruire un predicato all'interno di un discorso più o meno articolato; la differenza è che l'atteggiamento predicativo intenzionale è una strategia radicata nel linguaggio del pensiero (mentalese), mentre l'atteggiamento predicativo "normale" si radica nel linguaggio naturale, sempre sulla base di un'esperienza apprenditiva che nega qualsiasi nativismo alla Chomsky, concezione evidentemente derivata dal vecchio pragmatismo dalle forme classiche di empirismo e dal più recente empirismo logico (Russell ne è il rappresentante più significativo). L'intenzionalità determina diversi fatti mentali, il più importante dei quali è quello della credenza.
In Oltre la credenza (cap. V) Dennett traccia una descrizione oggettiva delle credenze che, sulla scia di Russell, il pensiero contemporaneo definisce atteggiamenti proposizionali, cioè fondati su proposizioni. In ogni modo, prima di stabilire quel tipo di atteggiamenti proposizionali che chiamiamo anche credenze, Dennett intende precisare il significato del termine proposizione presso i vari teorici dell'intenzionalità. Per Harman le proposizioni sono entità simili-a-enunciati, cioè implicano fenomeni un po' imagistici e analogici che le differenziano rispetto ai semplici enunciati di senso.
Per Stalnaker le proposizioni sono insiemi di mondi possibili, e come tali rappresentano "valori di verità" pressoché equivalenti. Questo punto di vista esclude dalla proposizione istanze o token di carattere sintattico, presenti "in un cervello o in una mente, oppure su una pagina".
Infine, per Russell e altri (Donnellan, Kaplan, Perry) le proposizioni sono definite oggettivamente, come classi o configurazioni ordinate di enti e proprietà reali e realmente esistenti nel mondo esterno. È una concezione che deve molto a Frege, per il quale la proposizione si costituisce in base a tre precondizioni:

1. La proposizione è una struttura soggetto-predicato, portatrice-di-valori-di verità, e come tale stabile, conclusiva e assoluta;

2. La proposizione è formata da intensioni in senso carnapiano: l'intensione determina l'estensione.

3. La proposizione può essere afferrata dal pensiero (Frege non ha mai chiarito la natura di questo afferrare).

Dennett sembra poi condividere l'intuizione del Churchland, per il quale il rischio metafisico, implicito nei predicati di atteggiamenti proposizionali, intenzionalità compresa, non è nulla di diverso rispetto al rischio metafisico latente nei predicati di misura fisica. Per "rischio metafisico" qui si indica la condizione di (possibile) superamento dell'orizzonte fisico in un ripiegamento eccessivo del punto di vista fisico su se stesso.
Nell'interpretazione di Churchland non è necessario presupporre una valenza concreta della proposizione nella mente, rinunciando a considerare la proposizione stessa come un'entità avente "un ruolo causale di qualche tipo negli eventi psicologici". In altri termini, la funzione della proposizione, all'interno sempre della psicologia del senso comune, è paragonabile a quella del numero nelle scienze fisico-matematiche, una funzione regolativa o giurisdizionale -nel senso dell'ermeneutica giuridica. Dennett prende molto sul serio la concezione predicativa della proposizione, comune anche a Churchland e Davidson. La funzione della proposizione è di denotare un termine isolato, che sviluppa la particella avverbiale, capace di modificarsi in una strategia proposizionale.
Dennett considera essenziale il concetto di intenzionalità, cioè la strategia che adottiamo quando definiamo un sistema intenzionale in termini di credenze/desideri; infatti l'atteggiamento intenzionale rende conto delle nostre tattiche nei rapporti interpersonali, ed è molto efficace in quanto frutto di una sorta di astuzia evolutiva della mente rispetto al mondo esterno, dove assumiamo di continuo una strategia intenzionale per spiegare il comportamento esplicito dei fenomeni della realtà che ci circonda, e degli oggetti che in essa incontriamo. Scrive Dennett:

«In che modo siamo in grado di capire, descrivere, prevedere gli atteggiamenti, le attività dei nostri simili, gli esseri umani?».

È chiaro che per rispondere non si dovrà interrogare solamente il punto di vista scientifico, utile e proficuo entro certi limiti, ma anche la psicologia del senso comune, radicata in concetti come credenze, desideri e simili. Dennett si fa così garante di una prospettiva pragmatista, legata alla concretezza e tuttavia immune da uno spirito scientifico acritico, come da un pregiudizio antiscientista che gli è estraneo -come dimostra la sua critica al comportamentismo linguistico di Ryle. Semplicemente Dennett, in analogia con l'analisi del linguaggio ordinario, vuole fare un'analisi della psicologia del senso comune, la quale da sola può assicurare una revisione dell'intenzionalità come una strategia utilitaristica applicata nella vita di tutti i giorni e voluta dalla nostra evoluzione per rispondere alle sollecitazioni e alle sfide della realtà esterna.

[Sito di riferimento: Mondo 3]

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